L’Incipit
Quella mattina era estremamente in ritardo: la sveglia non aveva suonato e sua moglie non era ancora rientrata dal turno di notte in ospedale. Aveva dormito oltre tempo.
L’ufficio era dall’altra parte della città ed era ormai matematicamente impossibile arrivare in orario, avrebbe fatto meglio ad avvertire telefonicamente, ma non lo fece.
Si precipitò in macchina e partì di corsa, senza mettere la cintura di sicurezza; superò abbondantemente i limiti di velocità pensando che qualche punto in meno sulla patente e una multa, sebbene cospicua, valessero meno del posto di lavoro; passò ad un incrocio con il semaforo rosso scatenando le ire degli altri automobilisti; non diede la precedenza a una anziana che era in procinto di attraversare diligentemente sulle strisce pedonali e, da ultimo, una volta giunto sotto l’ufficio, parcheggiò nell’unico posto libero, quello riservato ai disabili, ripromettendosi di spostare la macchina non appena avesse timbrato il cartellino d’ingresso.
Quando uscì dalla porta da cui era entrato poco prima gli si presentò uno spettacolo surreale: la sua macchina era circondata da fotografi e giornalisti, sciami di microfoni e telecamere coinvolgevano i passanti obbligandoli a dare un’opinione sull’accaduto.
Appena si avvicinò alla vettura il branco lo aggredì…
Andrea Vitali
L’Associazione Lettelariamente e il Comune di Dervio propongono
Concorso di scrittura su INCIPIT di Andrea Vitali – V edizione
Categoria: Scuole superiori e giovani fino ai 25 anni.
Regolamento
Il concorso é rivolto ai giovani della provincia di Lecco che dovranno completare un racconto iniziato dallo scrittore Andrea Vitali.
L’incipit verrà distribuito e pubblicizzato entro l’8 gennaio 2013.
PARTECIPANTI
Possono concorrere tutti gli studenti delle scuole superiori e i giovani di età non superiore a 25 anni.
TESTO DA ELABORARE
Il racconto deve avere una lunghezza massima di 4000 battute o 650 parole.
Si può allegare un’illustrazione in formato digitale jpeg di buona risoluzione che potrà essere scelta per l’antologia.
CONSEGNA E SCADENZA
La consegna del racconto dovrà avvenire entro il 4 febbraio 2013
via e- mail a: concorso.incipit.vitali@lettelariamente.it
Dovrà inoltre essere corredata dal MODULO di PARTECIPAZIONE compilato e firmato in tutte le sue parti (disponibile sul sito: www.lettelariamente.it).
Tale modulo potrà essere inviato all’Associazione sia via mail ( scannerizzato) che via fax al numero: 0341/740416.
Nel caso venisse utilizzata la modalità di spedizione via mail , modulo e racconto dovranno essere inviati come allegati distinti e non in PDF; in caso contrario non potranno essere accettati.
GIURIA
Presieduta da Andrea Vitali la giuria procederà alla selezione dei racconti migliori che saranno premiati e pubblicati in una antologia. I racconti dei vincitori saranno disponibili anche sul sito www.lettelariamente.it.
I lavori inviati verranno divisi in due categorie: 14-19 e 20-25 anni.
PREMI
I lavori selezionati dalla Giuria saranno pubblicati dalla Casa Editrice Marco Del Bucchia in una ANTOLOGIA che verrà presentata il giorno della premiazione e sarà disponibile anche nelle librerie. I primi 6 classificati di ognuna delle due categorie verranno premiati sia con una copia dell’antologia che con BUONI-LIBRO spendibili all’interno della mostra/mercato “Piccoli Editori in Fiera” .
PREMIAZIONE
La premiazione è prevista sabato 4 maggio 2013 al Palasole di Bellano alle ore 17.30 in occasione dell’iniziativa “Piccoli Editori in Fiera”.
Testi vincitori del Concorso
TESTI VINCITORI
CATEGORIA 19-25
ALESSANDRA PENNATI (Studentessa universitaria)
Primo classificato
«Signor Marchesi, cosa pensa delle gravi accuse a suo carico?», attaccò una biondina sgomitando tra la folla, mentre reggeva saldamente il microfono davanti a lui. Accuse a suo carico? I flash lo stordivano. «Cosa diavolo…?!» imprecò, cercando di raggiungere l’automobile. Doveva spostarla da lì. Doveva rientrare al lavoro. «Ci troviamo ora sotto gli uffici in cui lavora Aldo Marchesi, primo sospettato per l’omicidio…» raccontava un giornalista con voce roca alla telecamera. Primo sospettato? L’arrivo a sirene spiegate della polizia interruppe per qualche secondo il vociare confuso e concitato intorno a lui. In pochi, rapidi istanti, due agenti riuscirono a farsi largo, afferrarlo e trascinarlo nella volante.
«Agenti, cosa sta succedendo? Perché…» cominciò, subito interrotto da uno dei due poliziotti. «Marchesi, prima di parlare legga questo foglio. Comunicazione dei diritti. Non siamo in America qui, non si fanno scenate… Sa, quando urlano “Ha il diritto di rimanere in silenzio” e tutte quelle parolone da telefilm. In Italia non si fa» sentenziò, asciutto. Aldo scorse velocemente il documento e si soffermò sul secondo punto. «Qui dice che ho il diritto di conoscere perché sono indagato!». «Omicidio», replicò il poliziotto al volante, con una punta di disgusto. «Marchesi, lei è indagato per l’omicidio di sua moglie».
Annalisa Ferri, giovane e promettente medico dell’ospedale cittadino, quella notte non si era presentata al lavoro ed il suo cellulare risultava spento. Era stata ritrovata priva di vita all’alba, accanto alla propria automobile, nel parcheggio sotterraneo dell’edificio.
«Aldo, tu hai mai paura di essere ucciso?», gli aveva chiesto lei una volta, tanti anni prima, mentre guardavano la TV abbracciati sul divano. «Ucciso? Annalisa, non essere irrazionale. Perché mai dovrebbe accadere?» aveva replicato lui, sereno. Annalisa aveva sempre avuto una fervida immaginazione e da tempo lui si era preso la responsabilità di arginarla. «Sì Aldo, di essere uccisi come si sente al telegiornale, o come si vede nei film… In qualche vicolo buio, o di notte in un parcheggio un po’ squallido… Ma forse gli uomini non hanno questa paura, noi donne invece ce l’abbiamo quasi congenita. Dev’essere così» aveva concluso.
Come doveva essersi sentita, sua moglie, mentre qualcuno la sorprendeva nel cuore della notte, uccidendola esattamente come nei suoi peggiori incubi?, si chiedeva Aldo mentre cominciava il suo interrogatorio.
«Marchesi, lei capisce che qualcosa non va. Forza, ci racconti di nuovo la sua versione dei fatti, e questa volta cerchi di essere convincente.»
“Sì, agente, ripercorriamo pure la mia versione,” pensò. Lo aveva già fatto milioni di volte.
Quella mattina era in ritardo perché la sveglia non aveva suonato. O non l’aveva sentita: era rientrato tardi quella notte, perché si era fermato a bere una birra con qualche collega. L’ufficio era troppo lontano per poter arrivare in orario, ma non aveva avvertito. Era partito di corsa, superando i limiti di velocità; era passato ad un incrocio con il semaforo rosso; non aveva dato la precedenza a qualche pedone.
Mentre ripeteva meccanicamente queste parole, nella sua testa ne bruciavano altre, tormentandolo. Come doveva essersi sentita, dunque? Tradita, forse? Tradita dal destino, perché aveva dato concretezza al suo profondo terrore?
Tradita. Questo era ciò che sperava Aldo, mentre la colpiva. Tradita, proprio come si sentiva lui. Annalisa lo tradiva da mesi e lui l’aveva scoperta. Perdonarla gli era impossibile, il pensiero di essere stato violato nella propria fiducia lo assillava. Doveva vendicarsi.
Quella mattina non era in ritardo per colpa della sveglia. A dire la verità, Aldo Marchesi non aveva proprio dormito, quella notte. Mentre rientrava dopo l’uscita coi colleghi, si era fermato in ospedale. L’indomani, aveva deciso di percorrere il tragitto oltre i limiti consentiti, affinché i misuratori di velocità lungo la strada immortalassero la sua auto nel percorso ed i passanti a cui non aveva dato la precedenza riconoscessero la sua vettura. Sarebbe sembrato un normale cittadino in ritardo, per nulla preoccupato dell’assenza tipica di sua moglie a quell’ora del mattino. Nessuno si sarebbe accorto di niente.
ROCCO GERACE (Studente universitario)
Secondo classificato
…o così gli parve. In realtà gli sciacalli della cronaca non lo considerarono nemmeno, gli passarono accanto come se fosse invisibile. Non aveva tempo per stupirsi, doveva tornare al lavoro, perciò spostò la macchina e risalì in ufficio. Lavorò ininterrottamente per due ore, senza che nessuno lo disturbasse, cosa assai rara, solitamente; le grane erano all’ordine del giorno, ma non quel giorno.
Calma piatta fino a fine giornata: nessuno gli telefonava, non gli portavano lettere, non lo salutavano nemmeno, il che era molto strano e seccante. Prima di uscire andò in bagno, si lavò la faccia e si specchiò: c’era ancora, era lì, riflesso. “E dove dovrei essere?”-pensò-. A casa trovò un biglietto della moglie, un biglietto strano, parlava di una lettera indirizzata a lui, di lacrime che aveva versato e chiudeva con un “mi dispiace dieci anni sono troppi per me”.
Cercò preoccupato la lettera, ma non la trovò. Si accese una sigaretta e si buttò sul divano. Al tg live 24 ore su 24 c’era la solita tribuna politica, il cronista diceva che il parlamento aveva approvato una nuova legge. Non era interessato, aveva ben altri problemi.
Prima di cambiare canale l’attenzione cadde sui sottotitoli che riportavano le notizie più importanti della giornata: la legge di cui salmodiava il cronista era riassunta a piè di pagina e consisteva in una nuova normativa sulla legalità in generale, reati minori e maggiori, le pene si prospettavano esemplari.
Odiava quel governo che si arrogava il diritto di fare leggi addirittura sugli archetipi, una legge su tutta la legalità, una cosa che non stava né in cielo né in terra.
Si informò su internet e quello che lesse lo fece trasecolare: Il Presidente della Repubblica…vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del…, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri…emana il seguente decreto legge…
In parole povere ogni reato di qualsiasi entità andava punito con una nuova forma di pena, l’indifferenza. Lui, facendo i conti con un’apposita tabella allegata al testo governativo, era stato punito a dieci anni di indifferenza; avrebbe continuato a vivere la propria quotidianità, ma in un mondo asettico, dove non avrebbe neppure incrociato lo sguardo delle persone.
Fece una prova, telefonò a sua madre, non rispose. Salì su un autobus, senza biglietto, nessuno si curava di lui: i controllori, in rigorosa terna, uno per porta, controllarono tutti i passeggeri tranne lui. Non andò al lavoro per una settimana, nessuna lettera di richiamo, nessuna telefonata; al suo rientro le sue cose erano state lasciate in uno scatolone in portineria senza bisogno di eloquenti comunicazioni.
Dieci lunghi anni, solo, vittima di se stesso, senza poter rimediare. Decise di espatriare, quasi fosse un terrorista. Si accorse subito di una cosa: in ogni stato in cui approdava era considerato, giustamente, cittadino italiano e non venne mai rimandato in patria; d’altro canto, per i reati che aveva commesso sul suolo natio, fu comunque punito con la legge italiana, con la nuova legge italiana, in ogni singolo paesino di ogni singolo continente, per dieci lunghissimi anni di indifferenza che forse non sopportò di scontare.
PAOLO VALSECCHI (Studente universitario)
Terzo classificato
Che coglione era stato.
Nella fretta non aveva riflettuto: era ovvio che i cronisti non aspettassero altro.
Da quando la settimana prima aveva reso pubblica la sua intenzione a candidarsi sindaco, c’era sempre qualche giornalista che lo attendeva davanti all’ufficio per chiedere una qualche dichiarazione.
E adesso erano tutti li, pronto ad azzannarlo per un cazzo di parcheggio di merda. Due minuti dio santo. Forse meno!
Doveva stare calmo. Minimizzare il tutto.
Certamente i giornali che già lo criticavano lo avrebbero sbattuto in prima pagina, con la foto della Maserati sulle strisce gialle, magari con il commento strappalacrime del presidente dell’associazione invalidi, sicuramente con qualche bella frase piena di moralità, di quelle che piace a loro. Ma davvero qualcuno può essere tanto scemo da credere ancora a quelle cose?
Perlomeno avrebbe potuto fare una telefonata ai direttori che lo appoggiavano e chiedere di sottolineare che era in ritardo, che era un diligente dirigente impegnato in una delicata riunione della massima importanza. Qualche balla cosi se la sarebbero inventati.
Ora però doveva buttare acqua sul fuoco. Eccoli che arrivano.
«Si certo che capisco la gravità del mio gesto, sono qui proprio per scusarmi pubblicamente.
Ovviamente non si verificherà più. È stato un errore gravissimo ma commesso senza intenzione di nuocere a nessuno … (ma porca troia è solo un parcheggio, pensava.)
Si mi rendo conto che tale gesto è reso ancor più grave dal fatto che sono il pretendente a una carica pubblica cosi importante …. (cazzo vuol dire sta cosa? Se parcheggi tu al posto degli handicappati è una cosa, se parcheggio io è più grave? Ma la legge non è uguale per tutti?)
In ogni caso voglio comunicarvi che, in caso di elezione, garantisco che il mio impegno più assoluto nel moltiplicare i posti riservati ai disabili».
Vago, sicuro di se, rassicurante. Forse era riuscito a salvare un po’ la faccia. Tempo due giorni e gli elettori avranno già dimenticato tutto.
Come squali finalmente sazi, i cronisti sembravano appagati: si erano guadagnati il pezzo della giornata e poteva tornare nel suo ufficio.
Eppure rimaneva ad osservarlo un po’ in disparte una ragazza, lunghi capelli castani, occhiali, una sciarpa colorata intorno al collo e in mano le buste della spesa, sembrava fosse passata lì per caso e si fosse fermata ad osservare l’accaduto in silenzio, con sguardo distaccato ma profondo.
Si avvicinò e fissandolo dritto negli occhi gli domandò:
«Quando è stata l’ultima volta che hai fatto del bene concreto, con le tue mani, per qualcuno che ne aveva vero bisogno? Un malato, un senzatetto, un disabile, un disoccupato, un anziano senza più nessuno al mondo, un emarginato. Quando è stata l’ultima volta che hai fatto del bene? Quando è stata l’ultima volta che le tue mani sono entrate in contatto con una di queste persone?».
Antonio Viale, anni 43, laurea in ingegneria, successo e rispetto, una villa al mare e la candidatura a sindaco, non rispose. Era spiazzato. Per quanto si sforzasse non ricordava un suo gesto che potesse essere definito “fare del bene concreto”. Negli ultimi 20 anni perlomeno.
La ragazza rimase in silenzio, scrutandolo per lunghi attimi; disse infine: «Di certo non le invidio la sua triste vita». Non aggiunse altro: si voltò e continuò per la sua strada.
Per la prima volta dopo molti anni Antonio Viale quella notte non chiuse occhio.
I PUBBLICATI:
ROBERTO AVAGLIANO (IIS P. A. Fiocchi, Lecco)
TESTI VINCITORI SCUOLE
MICHELE PIATTI (Liceo classico A. Manzoni, Lecco)
Primo classificato
Alla pioggia si unirono i fulmini, giunsero la vecchietta e gli automobilisti inferociti e, dietro l’accusa di questi, fu indetto un processo. Già fuori dal Tribunale la folla cittadina inneggiava indignata alla condanna. Nell’ aula entrò il giudice che, piuttosto spossato dal lavoro e desideroso di tornare a casa, diede il via con un lapidario “sbrìghes”. L’ avvocato difensore, modello deluxe dal prezzo alquanto elitario, con actiociceroniana prese a dire: “Sioridellaggiuriessiorgiuddice, è vergognoso accusare il mio cliente, persona encomiabile per la pietas erga patriam, parentes et deos: egli svolge mansione utile al bene sociale. Si ammetta pure che abbia violato il codice stradale ( il meno importante fra quelli italiani), ma chi non l’ ha mai ignorato, per motivi ben più futili? Sarà stato vagamente mascalzone ma…” e qui una citazione colta “Bruto è un uomo d’ onore!”. “Obiezione!” attaccò l’ avvocato accusatore, che per il suo livello e per le tasche dei suoi clienti si sarebbe accontentato come compenso pure dei celebri quattro capponi. “L’ utile che egli produce con il suo impiego non giustifica l’ aver messo in pericolo altre vite e …” “Quindi lei” interruppe un tale della giuria, nipote della giornalaia di fiducia dell’ accusato che non voleva perdere un buon cliente, “Antepone il bene di pochi pedoni a quello che il signore produce ogni giorno al lavoro per la collettività? E poi, chi lo ha mai rispettato il codice stradale, suvvia!”. “ Ha perfettamente ragione” soggiunse il primo avvocato “ Dobbiamo proprio badare a certe inezie? Egli viene da una famiglia rispettabilissima: sua moglie è medico!” Come testimone si alzò allora una bambina pallida e magrolina: “ La dottoressa mi ha guarita e ha curato pure mio nonno!”. Dal pubblico presente sorsero così tanti applausi da svegliare il giudice, assopitosi nel frattempo. La folla, già intenerita da una storia così commovente (un violinista di strada si mise pure a suonare), gridò al miracolo quando dal fondo dell’ aula si levò un vecchio urlando: “Ero cieco ma la dottoressa mi ha guarito con il solo tocco della mano!”. L’ avvocato accusatore gonfiò il petto e sentenziò con energia “ Rimane sempre l’ appropriazione indebita di parcheggio per disabili!”. Automaticamente con gesto teatrale l’ avversario indicò l’ imputato che, alzatosi dalla panca, iniziò a zoppicare vistosamente. “ Non è disabile costui? E poi, condannereste un povero zoppo che va a lavorare malgrado l’ handicap?”. A giudicare dagli applausi nessuno si chiese che ruolo così fondamentale avesse il piede nel lavoro d’ ufficio. “ Egli, signori della Corte” e qui il liceo classico tornò d’ aiuto all’ oratore “Ha la kalokagathia in sé e quindi non solo non è colpevole ma dovrebbe essere nutrito, come Socrate , nel Pritaneo!”. La folla in estasi sussurrava: “ Capito, la kalokagatomia, il Parietteo! Roba Forte!”. Al giudice, nel dormiveglia, giunse inoltre la soffiata che l’ imputato fosse nipote del dentista di un politico influente. Tanto bastò a far pendere l’ ago della bilancia verso la sentenza già del resto acclamata dal popolo. L’ uomo (e con lui il difensore) fu portato in trionfo dalla folla e si dimenticò pure di zoppicare, ma l’ evidenza dopotutto poco importa alla gente; seguiva un codazzo di giornalisti che intervistavano l’ assolto già in odore di santità. L’ avvocato perdente aiutava la vecchia a scendere la scalinata: entrambi, diversamente dagli altri, sembravano piangere per la morte di chissà cosa. Chi, fra i coinvolti nella pirateria stradale, aveva dato all’ accusato del pericolo pubblico, capì che non era il caso di rovinare un momento di così tanto giubilo collettivo. La città era illuminata dal Sole, che è principio di verità e giustizia e che sembrava ora volersi unire ai festeggiamenti. Davanti a spettacoli del genere, la Giustizia ha una sola fortuna: quella di essere bendata.
ALICE BRAMBILLA (Liceo linguistico Parini, Barzanò)
Secondo classificato
L’uomo si sentì soffocare a causa della folla che si era appena accalcata su di lui. Ad un certo punto iniziò a girargli la testa e la vista si affievolì. Fu così che svenne nelle braccia di un fotografo, mentre un cronista stava riprendendo tutta la scena. Quando si risvegliò, il povero Antonio non capiva bene dove si trovasse. Si guardò intorno e non capì come potesse trovarsi nella sua camera da letto. Si alzò e guardò la sveglia… come era possibile che avesse dormito un giorno intero? Erano già le 8:00 del mattino, avrebbe dovuto essere al lavoro tra un’ora, era in ritardo, proprio come il giorno prima. Mentre pensava a come arrivare in orario gli tornò a mente la folla che lo aveva aggredito. Poi il vuoto totale. Cosa era successo dopo? Magari il suo capo lo aveva riaccompagnato a casa dopo che lui era svenuto, e magari sua moglie si era presa cura di lui. Scese in cucina, pensando che lei gli avesse lasciato un promemoria, magari per avvertirlo che c’era del cibo nel frigorifero o che lei aveva saltato il turno di notte ed era andata in farmacia a prendere dei medicinali per il marito. Invece non trovò nessun biglietto. Controllò il calendario, segnava ancora la data del giorno precedente, pensò che la moglie si fosse dimenticata di staccare la pagina. Controllò il cellulare ma anche quello segnava la data del giorno prima. Pensò ci fosse un errore, e andò in camera da letto a controllare la data della sveglia. Anche quella segnava il giorno sbagliato! Ma come era possibile tutto questo? Accese il televisore, la giornalista stava presentando il meteo del pomeriggio del giorno prima! Tutto questo era troppo strano per essere vero! Si vestì di corsa e uscì. Sul pianerottolo incontrò il vicino con un mazzo di rose. Il vicino disse che le rose erano per sua moglie che quel giorno compiva gli anni. Antonio aveva incontrato il vicino con le rose già il giorno prima, e la moglie del vicino aveva già compiuto gli anni il giorno precedente! Nel garage incontrò un vecchio che il giorno prima stranamente non aveva incontrato. Il vecchio gli disse <<sono rare le seconde possibilità>>. Ora iniziava a capire. Dopo essere svenuto tra la folla Antonio si era risvegliato la mattina di quello stesso strano giorno. Salito in macchina si dimenticò la cintura, ripensò al vecchio e così ripeté di nuovo tutto il percorso, cercando di capire il suo errore. Dopo aver superato i limiti di velocità, passando un incrocio con il semaforo rosso e non dando la precedenza ad un’anziana sulle strisce pedonali capì che non avrebbe dovuto parcheggiare l’auto nel parcheggio dei disabili. Entrò in ufficio per timbrare il cartellino d’ingresso, ma non appena buttò l’occhio sulla sua auto notò che c’erano ancora fotografi e giornalisti accalcati attorno alla sua auto. E di nuovo la folla non appena lo vide lo aggredì. Si risvegliò di nuovo nel suo letto, questa volta controllò subito il calendario. Segnava ancora il giorno prima. Così si vestì e usci di casa. Nel garage incontrò ancora il vecchio che gli ripeté la medesima frase. Salito in auto prese un respiro e si allacciò la cintura. Non superò i limiti di velocità, non passò l’incrocio con il rosso, ma aspettò che diventasse verde e fece passare l’anziana signora che attraversava sulle strisce pedonali. Arrivò però tardi in ufficio. Il suo capo era arrabbiato e dopo un litigio con lui, Antonio venne licenziato. In preda alla rabbia corse via ma inciampò nella stampante e picchiò la testa. Si risvegliò nel suo letto, quello stesso “giorno prima” e sempre in ritardo. Questa volta non sarebbe caduto nell’inganno del vecchio. Andò in salotto, alzò la cornetta del telefono e attese la voce gentile della segretaria. <<Sono il Signor Antonio Bianchi, mi spiace non potrò venire in ufficio, sono ammalato>> e riattaccò soddisfatto.
BEATRICE ALDÈ (Liceo scientifico G. B. Grassi, Lecco)
Terzo classificato
…e la vecchietta che aveva quasi investito gli urlò: <<Razza di maleducato! Per evitare la tua macchina stavo quasi per cadere! >>. Lui rispose volgarmente: <Signora, se non è capace di camminare, se ne stia a casa sua e lasci andare al lavoro noi giovani!>> e poi, rivolto alla folla che lo assaliva: <<Ho lasciato qui la macchina solo per dieci minuti, il tempo di timbrare il cartellino!>>, anche se, a pensarci bene, si rese conto che aveva anche bevuto un caffè, parlato con la segretaria e persino letto la prima pagina del giornale. Ma ciò che lo distolse dai suoi pensieri fu l’arrivo di una signora che a fatica spingeva una carrozzella. Colta l’occasione per riscattarsi davanti alla folla, le si avvicinò, offrendosi di aiutarla. Con evidente sollievo ella disse: <<Lei è davvero gentilissimo, la ringrazio. Devo portare mio marito gravemente ammalato dal medico, ma giunta davanti all’ambulatorio ho trovato il parcheggio per i disabili occupato. Ho aspettato per oltre mezzora, ma il posto non si è liberato ed io devo anche andare al lavoro, quindi ho dovuto lasciare la macchina nel posteggio più vicino, a mezzo chilometro da qui. Sapesse che fatica spingere questa carrozzella! Per fortuna che esistono persone educate come lei!>>. Lui avvampò per la vergogna. Avrebbe voluto sparire, tornare indietro, rimediare a tutti gli errori di quella mattinata, quando… Aprì gli occhi improvvisamente. Era stato solo un sogno! Guardò l’orologio. Maledizione, era davvero in ritardo! L’ufficio era dall’altra parte della città ed era ormai matematicamente impossibile arrivare in orario, avrebbe fatto meglio ad avvertire telefonicamente, ma non lo fece. Si precipitò in macchina e partì di corsa, senza mettere la cintura di sicurezza; superò abbondantemente i limiti di velocità pensando che qualche punto in meno sulla patente e una multa, sebbene cospicua, valessero meno del posto di lavoro. Poi, come un flash, si ricordò del sogno di quella notte e di nuovo provò vergogna. Non poteva comportarsi allo stesso modo, aveva imparato la lezione! Quindi si fermò al semaforo rosso e allacciò la cintura di sicurezza. Vide un’anziana che stava per attraversare la strada, e si fermò per lasciarla passare, facendole persino un cenno cordiale. Giunto sotto l’ufficio, constatato che l’unico posto vuoto era riservato ai disabili, cercò un parcheggio libero altrove. Trafelato, andò quindi dal suo capo per scusarsi per il ritardo. Questi gli si avvicinò e prima che lui potesse parlare, gli disse: <<Puntuale come sempre tu!>>, andandosene allegramente. Guardò l’orologio e si accorse di essere perfettamente in orario! Nella fretta doveva avere sbagliato a leggere l’ora! Improvvisamente scorse dalla finestra un furgoncino parcheggiato nel posto dei disabili dal quale stava scendendo una signora che spingeva una carrozzella. Soddisfatto, cominciò la sua giornata.
I PUBBLICATI:
CATERINA CASATI (Istituto A. Volta, Lecco)
NICOLA CHYTROVÀ (Istituto Bertacchi, Lecco)
SIMONE FRASSONI (Liceo classico A. Manzoni, Lecco)
FEDERICA COLOMBO (Liceo linguistico Parini, Barzanò)
SEFORA MERONI (Liceo linguistico Parini, Barzanò)
GRETA VILLA (Liceo linguistico Parini, Barzanò)