Regolamento e Incipit
Testi vincitori del Concorso
FRANCESCO CASTELLI (I.I.S. A. Badoni, Lecco)
Primo classificato
(…) Allora il dottor Higgs, presidente della commissione di idoneità cui era sottoposto il caso, propose sogghignando una soluzione al giovane:”Che ne dici di entrare in politica? Non dovrai fare assolutamente nulla tutto il giorno, nemmeno tenere le braccia incrociate!”. Alcuni commissari si opposero:”Un buon politico deve compiere grandi sforzi -sostennero- Non é un lavoro da poco nascondere al mondo la propria inoperosità!” Questo punto trovò tutti d’accordo, compreso il ragazzo, che aggiunse: “Ho detto chiaramente che non avrei fatto altro che guardare gli altri lavorare: ma chi dovrei guardare, se fra i miei colleghi non ce n’é nemmeno uno che lavora?”. Con un’espressione di enigmatico interesse sul volto, il presidente si vide costretto a sospendere l’incontro, riaggiornandolo di lì a una settimana. Dopo aver lasciato i colleghi con l’ordine di scovare un’attività talmente allettante da far cedere il ragazzo, il dottor Higgs si recò nel proprio ufficio; da lì telefonò al C.N.S.C.I.L., il Centro Nazionale di Supervisione delle Commissioni di Idoneità Lavorativa. All’altro capo del filo si avvicendarono una decina di personaggi, di carica sempre maggiore, finché all’apparecchio non si presentò il Supremo Supervisore Assoluto, la massima autorità del campo: il povero Higgs, cui era parso di dover morire ogni volta che all’orecchio si era sentito dire “Le passo il mio superiore”,tanta era la reverenza che quei grandi nomi gli ispiravano, avvertì la propria voce correre a nascondersi in fondo alla gola. Con gran fatica riuscì a convincerla ad uscire e a sottoporre il caso al Supremo il quale, dopo un lungo silenzio, lo informò che egli stesso si sarebbe presentato al successivo incontro; quindi pose fine alla chiamata. Il Supremo Assoluto! Ad un’udienza della sua commissione! Il dottore pregò che i suoi colleghi riuscissero a trovare un lavoro che soddisfacesse il giovane. Sette giorni dopo, la più alta carica del C.N.S.C.I.L. affrontò il ragazzo assieme ai trafelati commissari: abituati com’erano a una mansione di tutto riposo, il dover cernere tutti i lavori piú appetibili che l’ingegno umano avesse mai messo a punto li aveva lasciati stremati; la loro occupazione solitamente consisteva semplicemente nel coniugare le richieste del mercato del lavoro con le attitudini più marcate dei candidati. Purtroppo il ragazzo non sembrava apprezzare lo sforzo: nel corso dell’incontro, rifiutò tutte le proposte che gli vennero sottoposte; quando, dopo il critico gastronomico, il modello, il telecronista sportivo, anche l’occupazione da collaudatore di materassi venne rifiutata, e l’ultimo dei commissari dovette tornare al proprio posto con le pive nel sacco, la tensione all’interno della sala consiliare si fece palpabile. I presenti non osavano pensare a cosa potesse significare quel rifiuto assoluto: anche nella più rosea delle previsioni, il sistema era a rischio; a quello “sciopero” inamovibile ne sarebbero sicuramente seguiti altri: la società avrebbe retto? In una scena già immobile, la realtà parve cristallizzarsi quando un pallido Supremo Assoluto si alzò per prendere la parola, ma la voce gli morì in gola e la bocca tacque; fu invece un sudaticcio e tremante dottor Higgs a parlare. Fece una proposta rivoluzionaria: mai, prima d’allora, a qualcuno era stato offerto di diventare egli stesso membro di una commissione d’idoneità identica a quella che lo stava valutando; con un sorriso, il ragazzo accettò: quel lavoro soddisfaceva tutte le sue richieste. Il sistema era salvo. I commissari applaudirono poi, senza più traccia di colore in volto, fuggirono dalla sala. Il Supremo Assoluto si trattenne giusto il tempo di promettere una promozione al dottore, che poi rimase solo nella stanza, con il giovane. “Tutto secondo il piano, caro collega -disse Higgs con un sorriso ammiccante, non appena la porta si fu richiusa- A me la promozione, a te il posto” “Tutto secondo il piano, zio. Tutto secondo il piano”.
MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:
All’unanimità si ritiene che il racconto sia il migliore di tutti per l’effetto sorpresa del finale e per la sicurezza dello stile narrativo notevole per uno studente delle scuole superiori. Il racconto è pienamente coerente con l’incipit e la visione dell’autore, per quanto pessimistica e amara, riflette bene il clima di favoritismi e corruzione che si percepisce spesso nella lettura dei giornali …
MICHELE PIATTI (Liceo classico A. Manzoni, Lecco)
Secondo classificato
(…) Allora si decise di bandire un concorso per trovare chi potesse suggerire una soluzione. Qualcuno propose di assumere il ragazzo come manichino nei negozi, altri di usarlo come ferma-porta umano;valutata l’impossibilità di queste idee, si iniziò a dire che il governo era inefficiente, l’opposizione incapace e che era tutta colpa dell’immigrazione, la quale in verità non c’entrava molto con la faccenda. Fra tutte queste guerre intestine un celebre economista propose di stipendiare il ragazzo in quanto essere vivente. “ Non si può prendere lo stipendio senza far nulla” tuonò un giornale di destra, “ Per quello ci sono già i parlamentari”, rispose un settimanale di sinistra. “ Stiamo valutando” dissero i politici “, “ Stiamo aspettando” incalzarono gli altri stati europei. Si era nella crisi più totale. Questo è quello che accadeva a livello nazionale. Però credo sia giusto spiegare cosa succedeva al paese del ragazzo. La scuola non lo aveva mai rapito; mentre i suoi compagni risolvevano equazioni e parlavano in inglese, già proiettati verso la maturità, e mentre le psicologhe si affannavano con test a crocette a convincere gli studenti del loro futuro già stabilito da altri, egli se ne stava sempre zitto in un angolo della classe. I ragni lo coprivano di ragnatele e la polvere si depositava sul suo volto. Gli occhi però erano profondi, vi si riflettevano ora il lago, ora le montagne, ora il resto dell’umanità che correva non si sa dove; quegli occhi dicevano più di migliaia di test, celavano saggezza e intelligenza. Purtroppo la gente non guarda mai gli occhi. Le insegnanti erano disperate nel vedere la sua situazione. “E’ un deficiente” disse una docente, “ Ha possibilità ma non si applica” disse un’altra che in fondo voleva esprimere lo stesso concetto. La madre, poi, era disperata: non riusciva a comprendere il comportamento del figlio. Il padre vedeva disgregarsi l’operosità che aveva permesso alla famiglia, generazione dopo generazione, di emergere economicamente e socialmente. Questo caso era pane per i denti degli psicologi scolastici che pretendono di conoscere la mente degli altri senza capire che è già difficile conoscere sé stessi. Dopo settimane e settimane passate tra colloqui, interrogatori e macchie di Rorschach si stabilì che il ragazzo era inetto. Allora l’autorevole ministro del lavoro trovò la soluzione: “In quanto individuo improduttivo, che non partecipa al bene comune della società il ragazzo è considerato inesistente dal punto di vista fiscale e giuridico”. Ergo, non essendo parte ufficialmente dell’ingranaggio economico, non poteva danneggiarlo. Il suo nome venne radiato dall’anagrafe comunale e dall’albo battesimale, con il sospiro di sollievo del governo, della comunità europea e delle professoresse. Fra i compagni di scuola nessuno replicò e il resto dell’umanità correva troppo veloce per accorgersi dell’accaduto. Dei genitori si sa solo che da quel momento nessuno li ha più sentiti; mi conforta immaginare che forse loro erano un po’ dispiaciuti. Intanto il ragazzo inesistente continuava ad esistere ignorato da tutti, seduto in un angolo di una spiaggia poco frequentata. Un giorno mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui. Il sole stava tramontando. “ Che fai?” chiesi. “ Penso”. “ A cosa?” “ Penso che il mondo stia per scoppiare, ormai non vi è più posto per affetti e valori. Dobbiamo produrre, correre, obbedire senza aver scelto il nostro destino. Parliamo tutti tre lingue, ma non sappiamo più comunicare col cuore. E’ vita, questa?” E allora volse lo sguardo. I suoi occhi contenevano tutta la bellezza di quel tramonto che non mi ero mai fermato a guardare. La sua voce era placida come i rumori delle onde che non avevo mai ascoltato. Scappai e non lo vidi più. Oggi sono un impiegato, ho uno stipendio fisso, una famiglia, i miei figli saranno avvocati anche loro, l’ha detto un computer. Quel ragazzo non l’ho più rivisto, oppure non l’ho mai più riconosciuto, impegnato come sono a correre. Sono felice della mia situazione, trascorro i week-end in montagna, sono produttivo e operativo……è vita, questa?
MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
Il racconto viene riletto e gli viene aggiudicato il 2° premio all’unanimità per l’umorismo sottile, i riferimenti colti, l’interesse per l’attualità ed il finale sospeso con una domanda, bello per quanto molto amaro.
SILVIA VERGANI (Liceo scientifico M.G. Agnesi, Merate)
Terzo classificato
(…) una soluzione venne trovata. Era il 13 novembre 2064 quando il ragazzo fu messo in isolamento, per impedire che ad altri giovani venisse l’assurda idea di opporsi al “sistema”. Il suo nome era Theodore White. Tutti rimasero molto colpiti dal suo gesto: perché opporsi a un sistema perfetto, un sistema che permetteva a tutti di avere un lavoro e vivere serenamente? Si diceva che fosse pazzo, che volesse sabotare il sistema. Nessuno aveva il permesso di parlare con lui. Era stato rinchiuso in un carcere, con l’accusa di “essersi opposto alla volontà del sistema”. Poteva sembrare eccessivo, forse lo era, ma non potevano permettere che un ragazzino mandasse all’aria tutti quegli anni di duro lavoro. Fu in una fredda giornata d’inverno di quattro anni dopo che a Karen Johnson, giornalista di successo, fu accordato il permesso straordinario di intervistarlo. Sarebbe stato lo scoop del secolo, Karen lo sapeva. Arrivò con la massima puntualità, come suo solito. Davanti a lei c’era una guardia che l’avrebbe accompagnata dal carcerato n°2391. Si sedette nella stanzetta spoglia, aspettando il ragazzo. Quando questi entrò, scortato da due guardie, sprofondò sulla sedia posta davanti alla giornalista. Si mordicchiava nervosamente le unghie, muovendo la testa a scatti improvvisi. Era scarno. Le guardie se ne andarono, lasciandoli soli. “Theodore” lo chiamò la giornalista. Non rispose. “Theodore … Stai bene?” Il ragazzo alzò improvvisamente la testa. “Theodore …” ripeté lui “… è il mio nome, giusto? Non mi chiamavano così da tempo” Karen era sorpresa: come può un giovane dimenticare il proprio nome? “Che nome usano?” “Io sono numero 2391, solo questo … ” “Perché sei qui?” Theodore non rispose, lo sguardo fisso su una minuscola finestrella da cui si intravedeva il cielo. “Theodore …” “Ci sono dei canarini …” iniziò il giovane. “ … dei canarini rinchiusi in una meravigliosa gabbia dorata. Il padrone li nutre, li ripara dal freddo, li protegge dai pericoli; ma la gabbia è sempre chiusa.” Karen era confusa, iniziava a pensare che fosse davvero un pazzo. “Sono felici, un giorno però uno tra tutti quei canarini si accorge che non ne può più, dalla gabbia si vede il cielo e lui vuole volare.” Scattò in piedi, aggrappandosi con forza alle sbarre della finestrella. “Così lui scappa! Ma il padrone lo insegue! Il canarino fugge di nuovo! Vuole l’avventura, vuole inseguire i sui sogni, vuole volare … Vola canarino! VOLA!” D’un tratto due guardie fecero irruzione nella stanza, bloccarono il giovane che intanto si dimenava, e, stretto dalle loro forti braccia, lo portarono via. Mentre questi veniva trascinato di peso guardò la giornalista con fare supplichevole. Lei distolse lo sguardo, e lui fu portato via. Karen trovò un biglietto a terra, scritto con una grafia storta e disordinata. “Non lasciatevi spezzare le ali” Il giorno dopo Theodore White venne ucciso, ma a nessuno importò. Molti anni dopo, quando Karen compì 70 anni, fu ammessa grazie a numerosi sforzi nel consiglio del sistema. Era il 15 Maggio di un anno indeterminato quando si sottopose al loro giudizio una ragazzina di quattordici anni, il suo nome era Abigail Hutton. La ragazza si sedette con fare svogliato sulla sedia scricchiolante, lo sguardo rivolto a terra. “Allora Abigail …” iniziò Karen, o meglio la consigliera Johnson. Fu allora che la ragazza alzò lo sguardo, e in quegli occhi tristi e vuoti Karen ci si perse. Perché in quello sguardo sconsolato Karen rivide quello di un altro ragazzo. Un ragazzo fuori di testa. Un pazzo conosciuto tempo fa. Quello era lo stesso sguardo che lui le aveva rivolto mentre lo portavano via. Come a chiedere aiuto … Karen allora capì, dopo 36 anni. Fu così che disse, provocando lo scalpore generale: “Abigail … Cosa vuoi fare da grande?” Sul volto della ragazza si aprì un sorriso, un sorriso così grande che per un attimo il sole a suo confronto smise di brillare. Different is not always wrong
MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:
Al racconto si attribuisce il 3° premio. Il testo, che intercala narrazione e dialogo, si presenta estremamente drammatico ma il finale, sofferto, annuncia un possibile riscatto dal “sistema perfetto” che ricorda il 1984 di Orwell.
DAL QUARTO CLASSIFICATO:
BEATRICE CASATI (Liceo scientifico M. G. Agnesi, Merate)
MICOL CADONICI (I.I.S. Greppi, Monticello B. za)
MARTINA BRUNATI (Liceo linguistico Parini, Barzanò)
CAMILLA GEROSA (I.I.S. Greppi, Monticello B. za)
FEDERICA COLOMBO (Liceo linguistico Parini, Barzanò)
ILEANA NOSEDA (I.I.S. L. Rota, Calolziocorte)
MATILDE BOLLINI (Liceo classico A.Manzoni, Lecco)
IRENE SALA (I.I.S Greppi, Monticello B. Za)
ERICA SUCCETTI (I.I.S Marco Polo, Colico)