Regolamento e Incipit

 

Indetto da LetteLariaMente, il Concorso è rivolto agli allievi delle scuole superiori. Gli studenti dovranno completare un racconto partendo dall’Incipit proposto dallo scrittore Andrea Vitali.

TESTO DA ELABORARE Il racconto deve avere una lunghezza massima di 4000 battute o 650 parole. A esso si può allegare un’illustrazione, creata personalmente dal candidato, da inviare all’indirizzo e-mail dell’Associazione, in formato digitale jpeg di buona risoluzione. La più interessante potrebbe essere scelta come immagine di copertina dell’antologia.

CONSEGNA E SCADENZA La consegna del racconto dovrà avvenire entro il 4 febbraio 2014 tramite e-mail all’indirizzo:concorso.incipit.vitali@lettelariamente.it. Dovrà, inoltre, essere corredata dal MODULO di PARTECIPAZIONE compilato e firmato in tutte le sue parti (disponibile sul sito: www.lettelariamente.it). Tale modulo dovrà essere inviato all’Associazione via e-mail (scannerizzato). Modulo e racconto dovranno essere inviati come allegati distinti e non in PDF; in caso contrario non potranno essere accettati.

GIURIA Presieduta da Alma Pietra la giuria procederà alla selezione dei racconti migliori che saranno premiati e pubblicati in un’antologia. I racconti dei vincitori saranno disponibili anche sul sito www.lettelariamente.it. I lavori inviati verranno divisi in due categorie: 14-19 e 20-25 anni.

PREMI I lavori selezionati dalla Giuria saranno pubblicati in un’ANTOLOGIA che verrà presentata il giorno della premiazione e sarà disponibile anche nelle librerie. I primi sei classificati di ognuna delle due categorie verranno premiati sia con una copia dell’antologia che con buoni libro spendibili all’interno della mostra/mercato “Piccoli Editori in Fiera”.

PREMIAZIONE La premiazione é prevista sabato 3 maggio 2014 al Palasole di Bellano alle ore 17,30 in occasione dell’iniziativa “Piccoli Editori in Fiera”.

 

 

Testi vincitori del Concorso

TESTI VINCITORI – CATEGORIA 17-25

 

MICHELE PIATTI (Liceo classico A. Manzoni, Lecco)
Primo classificato


In breve, le turrite nubi del fumo della sigaretta si concretizzarono in case e grattacieli; per acquistare i diritti sul cimitero fu sufficiente qualche permesso falsato e quanto alla morale non vi fu di che preoccuparsi: ai vivi la morte pareva ormai una dimensione tanto lontana che sarebbe risultata ancor più sconvolgente di lì a poco, con lo scoppio della Terza Guerra Mondiale per la conquista di nuovi territori. Non tutto, però, andò secondo i piani dei costruttori: dopo meno di un anno infatti i quattro si risedettero allo stesso tavolo. “Ragazzi, qualcosa sta andando storto…”, esordì il primo, “Di notte i residenti si dicono svegliati da rumori non identificabili e una pensionata ha trovato una mano mummificata nell’orto”. “Che dire poi”, soggiunse il secondo, “di quell’ombra senza testa vista aggirarsi nel buio o di quel cadavere che terrorizza le brave ragazze di famiglia…?”. L’accanito fumatore, il più razionale del gruppo – la sigaretta gli conferiva un’aria intellettuale – si alzò in piedi: “Signori, stiamo uscendo di senno? Cerchiamo di essere seri; come possono uomini adulti e facoltosi credere a tali storie?”. Si voltarono tutti verso il quarto, taciturno fino ad allora: “Anche a me succedono strane cose ultimamente…” e tremando: “Ho scheletri nell’armadio”. “Grazie, chi non li ha nel nostro settore?” ribatté il fumatore. “Intendo dei veri scheletri umani, apparsi dal nulla…”. Il silenzio piombò sulla stanza e sugli animi dei presenti; la luce al neon metteva in risalto sui loro volti i solchi del dubbio e della malcelata paura. “Scheletri in carne e ossa”, mormorò il primo, rendendosi conto subito dopo che la battuta non si adattava al contesto. Il terzo diede due colpi di tosse, più per l’imbarazzo che per il fumo, recuperò la sicurezza di sempre e, sottolineando il concetto con un pugno sul concretissimo muro: “Finiamola! Dobbiamo badare alla realtà… che cosa c’è di più tangibile di soldi e costruzioni?”. In quel momento, un fantasma in foggia anni venti trapassò il concretissimo muro e salutò con gentilezza d’altri tempi gli astanti: “Permettete che mi presenti, sono uno spettro di cultura e buon gusto e mi rincresce non avervi avvisati della visita…”. Il più pavido dei quattro, persona di poco spirito, svenne senza la cortesia di ascoltare l’ospite. “Dicevo, vengo in nome dei residenti del cimitero che avete demolito… si sono negli ultimi tempi verificate interferenze fra le vostre costruzioni e le cripte più profonde, ma non agitatevi: in breve la situazione rientrerà nella normalità”. “Un corno!”, sbraitò il fumatore, quasi ingoiando di traverso la sigaretta. “Le pare normale che delle carogne…” – “Cadaveri, prego” corresse lo spettro – “…vengano a turbare persone oneste e paganti? Lasciateci vivere in tranquillità, voi che già ne avete avuto occasione!”. Con molta flemma il fantasma rispose: “Come già detto, ci stiamo adoperando affinché ognuno torni a vivere la propria morte o la propria vita…sempre che la vostra possa così chiamarsi”. “Ci insulta?”, sbottò il primo. “Lungi da me: mi pare soltanto che la vostra vita si riduca a un mero affannarvi e immolarvi per progresso e felicità, costruire e demolire senza posa e arredare case appena in tempo per avere un letto dove morire; in verità la morte è più stimolante, fa apprezzare valori trascurati in vita…con un po’ di rimpianto, purtroppo”. Scomparve che la sigaretta ardeva ancora. I quattro decisero di seppellire la faccenda e di continuare a versare cemento su cemento come il resto dell’umanità; di lì a poco la Guerra avrebbe falciato le teste di tutti e le tante case costruite sarebbero rimaste vuote, ma loro non potevano saperlo. Solo l’ultimo sopravvissuto alla tragedia si sarebbe reso conto degli errori dei suoi simili: vagando fra gli edifici fattisi – stavolta veramente – cimiteri, avrebbe ammirato la luna piena e l’eterno silenzio del cosmo, rendendosi finalmente conto che l’Universo può fare a meno di noi e che noi potevamo fare a meno di altri tetti oltre al cielo stellato.

 

GLORIA BERTAGLIA (Studentessa universitaria)
Secondo classificato


“Via, via! Si chiude!”. La voce dell’oste con decisione spinse i compari in strada. “Ma porc… che freddo!”. Perentorio rispose il fumatore: “Abituati, perché da ora ci sarà da lavorare di notte!”. La notte porta consiglio, ma nelle case del Barda, dei fratelli Tirano e del Mocet si dormì poco quella notte e a poco servirono i mugugni delle mogli, stufe di sentirli rigirare nel letto. L’indomani incontro al molo, il giorno delle decisioni. E si doveva fare in fretta perché la discussione della sera prima era solo l’aperitivo di una scelta che si doveva fare… Il cimitero! Costruire nel cimitero! Il Mocet, sigaretta in bocca, prese in mano la situazione: “È deciso allora: i capanni li faremo nel cimitero vecchio, posizione perfetta, vista lago… Fuori dal paese, ma non troppo…”. I tre trasalirono: ma proprio il cimitero abbandonato doveva scegliere quella testa? “Beh… sì…”. “In effetti… lì non ci disturba nessuno…”. “Un po’ di materiale già c’è…”. “Certo che… proprio lì…”. “Basta!” urlo il Mocet “non fate le femminucce! È deciso, i capanni si fanno lì perché li abbiamo venduti da quasi un anno! Va bene che li hanno presi i tedeschi, i foresti, ma ora non si può fare più finta di niente… Anche perché, Vacca, uno è saltato fuori che è impegolato con il Capo… e se quello ci becca che gli tiriamo il pacco ci spacca le gambe!”. Cose grosse e un brutto affare a Bellano. Quattro piccoli ladruncoli di polli che vogliono fare fesso il Capo… impossibile… rischioso… pericoloso! Urge una soluzione e che cosa si inventano? Costruire nel vecchio cimitero della frazione abbandonata. “Certo al Capo non gliene frega nulla del posto: cimitero, Chiesa o bordello a lui basta avere il capanno per quel dannato tedesco con cui è impegolato!”. “E noi glielo daremo!”, sigaretta accesa e piano pronto: “Pomeriggio sopralluogo, stanotte primo trasporto, domani notte si inizia e nel giro di un paio di settimane ecco pronto il capanno del Capo per il crucco, Vista Lago!” semplice, lineare, perfetto. A volte però tra la pratica e la grammatica… e se di pomeriggio il cimitero sembrava un cantiere come un altro, di notte l’atmosfera era lugubre, nebbiosa e poi “UHU UHU” quelle Vacca di civette… da portarsi la fionda! Notte dopo notte il lavoro procedeva e la brigata riusciva a tenere il tutto in segreto. Del resto, le mogli non facevano domande perché erano abituate ad avere dei mariti non degni di tal nome e i lavori venivano camuffati di giorno per evitare improbabili sguardi di curiosi. Col passare dei giorni i quattro sembravano rilassarsi e trovare il sorriso quando ecco che una notte vicino ai resti della lapide dei caduti la terra sembrava essere smossa… Gelo… “Vacca!!!”. “Andiamo Via!”. “Fermi!”. Urlo il Mocet “Sarà stato un cane”. I lavori continuavano distratti e con le orecchie tese e ogni cigolio sembrava interminabile.. “Fru – fru”… “Ma chi è che gratta!!?”. Scese la nebbia e nessuno seppe mai cosa sia successo in quella notte nel cimitero abbandonato. I rumori aumentarono e nessuno si curava più del Mocet che continuava a dire “Cani… Cani…”. “Ma che vada a buttarsi nel lago lui e i suoi cani!”, pensarono all’unisono gli altri tre che a gambe levate corsero via a rotta di collo. L’indomani i fratelli Tirano fecero armi e bagagli e tornarono al loro paese originario, Tirano in Valtellina. Il Barda, invece, cadde in un continuo mutismo e dopo un breve soggiorno all’Umberto I scelse di non uscire quasi più. Se ne stava a casa, solitario, spaventato dalla sua ombra e con il terrore che il Capo venisse a riscuotere la sua cambiale. E il Mocet? Semplicemente scomparve e di lui nel vecchio cimitero rimase solo un pacchetto di sigarette calpestato… Pare che in quel cimitero quando scende la nebbia si senta odore di fumo, ma questa è un’altra storia.

 

FRANCESCO CASTELLI (Studente universitario)
Terzo classificato


“Ma sei scemo?”, aggredì Razio, mentre Callisto alzava gli occhi al cielo. Le parole di Oreste parvero colpire positivamente solo il quarto convitato di cemento. Una nuvola -trascinata dal vento sempre impetuoso su quel ramo di lago che volgeva chissà dove- si premurò di enfatizzarne l’effetto con la propria ombra. Sul quel viso ardevano ora tre braci. Da tutte e tre proveniva del fumo, accompagnato dall’odore schifoso dei posacenere. Da tutte e tre un medico sarebbe stato preoccupato. Ma solo una -rossa- si cibava di qualcosa di materiale, carta e tabacco. Le altre due luccicavano, giallastre d’attenzione, in fondo alle iridi nicotiniche di Catrame. Catrame, si chiamava quell’uomo: un cognomen talmente omen da non aver mai reso necessario per alcuno l’indagare sul nomen cui era appaiato. Catrame, come Catrame s.r.l., la sua ditta edile. Catrame come quello che gli tappezzava i polmoni, talmente spesso da aver ammazzato gli stessi tumori che aveva generato. Si diceva che un suo sputo fosse sufficiente a riparare la pavimentazione stradale. Forse per questo le strade della Catrame s.r.l. erano sempre perfette. E forse per questo tutti gli appalti transitavano sulla scrivania di catrame di Catrame. “Vorresti edificare nel cimitero?”, chiese l’imprenditore, la voce come un motore diesel all’accensione in una gelida mattinata invernale di inizio ‘900. Nella sua mente, il progetto aveva già preso forma: “Un gargantuesco grattacielo grigio cemento, d’ossa ricolmo e traboccante nebbia, illuminato da un esercito di lumini accesi da vecchiette sdentate intente e a sibilare litanie religiose e a familiarizzare con l’ambiente, in vista di un prossimo trasloco”. Quel delirio neogotico-industriale aveva scatenato la sua fantasia, che stava viaggiando a tutta birra producendo il rumore di una ruspa al lavoro. “Potrei usarlo come set per un kolossal da proiettare il giorno dell’inaugurazione. Lo intitolerò: Maria di Necropolis!”. Nel frattempo, i suoi colleghi si guardavano intorno, increduli che il rumore di mezzi di scavo provenisse dal suo cranio. Sovrastando il rombo, Oreste rispose “No, vorrei edificare un cimitero”. Con lo stridio di una brusca frenata, la fantasia dell’imprenditore lasciò spazio all’attenzione. “Ma se non c’è più manco un millimetro edificabile in tutta la provincia?”, attaccò Razio “Lo costruiamo in verticale, in montagna? O nel lago? Un bel cimitero subacqueo, alè!”. All’idea di un cimitero subacqueo, la fantasia perversa di Catrame produsse un boato. “Ma stanno facendo dei lavori da queste parti? Credevo avessimo il monopolio”, domandò Callisto. Oreste lo ignorò “Potremmo “integrarlo” nell’area verde di Via Caetani”. “Il parco giochi?”. Davanti agli occhi di tutti balenò l’immagine di bambini che giocavano felici fra le tombe. Nelle orecchie di tutti rimbombò il frastuono del motore di una ruspa lanciato fuori giri. Con voce affaticata dalla lotta interna, Catrame obiettò deluso “Non ci daranno mai i permessi”. Ma Callisto ribatté trionfante “Con quel che ci è costato, non ricordi che mia figlia è sindaco?”. “E per i debiti, gli fece sponda Oreste, ci basterà vendere i posti-bara…”. “Lotti”, sibilò Razio. “Oh, mi suonava un po’ macabro”. “Posti-bara andrà benissimo!”, rombò Catrame, con la bava alla bocca. “Venderli a vecchietti che schiatteranno prima della fine dei lavori e verranno quindi sepolti altrove. Così potremo rivenderli a opera completata!”. I debiti, quindi, sarebbero stati sistemati. Ora toccava alla promessa… “Gli operai saranno stranieri, senza esperienza e muniti di mezzi moderni, cosicché li si possa criticare perché immigrati, perché incapaci e perché non lavorano come si faceva una volta. L’opera sarà rallentata causa pioggia, neve e sole. Il cantiere durerà anni. E sarà raggiungibile in carrozzina o col deambulatore”. “Alzati”. Catrame raggiunse lo scranno dove sedeva il vecchio. Don Salvatore, piangendo di gioia, gli diede tre baci sulle guance. “Ogni promessa è debito. Il tuo è estinto”. Catrame uscì dalla bocciofila sogghignando. Dando loro ciò che bramavano, era appena rientrato nelle grazie dei veri padroni del settore edile: la Lobby dei pensionati che guardano i cantieri. Il futuro non era mai stato così squisitamente GRIGIO.

I FINALISTI:

VALERIO CICERO (Neolaureato)

ROBERTO AVAGLIANO (Fotografo)

 

TESTI VINCITORI – CATEGORIA 14-16

 

AURORA COLOMBO (Liceo scientifico Bachelet, Oggiono)

Primo classificato


Fu il più giovane a parlare e, non appena il fumatore gli rivolse la sua attenzione, abbassò ancora la voce prima di proseguire, come se si fosse pentito di aver sfoderato il suo coraggio per pronunciare quelle due parole. “Beh, basta convincere la gente”. “Come pensi di convincere la gente a coprire di cemento i propri cari?”, intervenne il terzo che aveva parlato. “Infondo, per convincere la gente, bisogna farle credere di fare esattamente ciò che vuole”. Fissò il volto del fumatore, che aveva emesso un verso sarcastico, per poi fissare velocemente la sua sigaretta premuta nel posacenere, e l’agitazione iniziò a pervaderlo. Sapeva che, in qualità di novellino, doveva ancora pagarsi il biglietto d’entrata nel clan, che essere figlio del capo defunto non bastava, e aveva imparato a interpretare i gesti del fumatore: sigaretta premuta nel posacenere, massimo dieci secondi prima che si innervosisca e finisca la pazienza nei tuoi confronti. “Intendo dire che la gente dobbiamo conquistarcela, propinargli un bel discorso per far credere di essere disposti a tutto pur di esaudire i suoi desideri, e di essere disposti, pur di esaudirli, a fare un piccolo sacrificio, o meglio, a creare una vittima da immolare alla causa: in questo caso, il caro vecchio cimitero”. Il ragazzo fissò il fumatore in cerca di un segno di stizza, ma ciò che vide lo spiazzò completamente, qualcosa di mai visto. Lui voleva ascoltarlo. “Continua”. “Basta dire che per costruire il centro commerciale promesso, di cui abbiamo tanto parlato, abbiamo bisogno di spazio e che, per poter realizzare questo progetto, abbiamo pensato di utilizzare un luogo storico, il piccolo cimitero. Qui, poi, sfodereremo la carta dei morti che lasciano il posto ai vivi, di chi, vittima di guerra, si è sacrificata per dare speranza e una vita migliore ai posteri; e una vita migliore è fatta di modernizzazione, nuove comodità, e perché no, di un centro commerciale”. Una nuova sigaretta venne accesa. Un altro minuto di tempo prima che finisca, bruciando la pazienza insieme alla nicotina. “Metti anche che riusciamo a convincere la gente, come facciamo con la Legge? Pensi sul serio che ci lascino distruggere un cimitero?”. Se il fumatore consumava centinaia di sigarette e pazienza, l’uomo alla sua destra beveva litri di alcol e diffidenza. “Beh, chi verrebbe in un paese così piccolo, per controllare che nessuno si metta a costruire su un cimitero?”, si rivolse dubbioso verso il fumatore, sicuro che il suo minuto stesse per scadere, ma si accorse di una cosa più unica che rara: la sigaretta era ferma, sospesa sopra il tavolo, ben lontana dalle labbra, tra il pollice e il medio, la cenere che si accumulava sul tavolo di mogano. “Il ragazzo ha ragione, per la Legge non c’è problema, non è la prima volta che costruiamo edifici dove non siamo autorizzati”, mosse la sigaretta come se la stesse soppesando e, insieme a essa, l’idea. “Se convinciamo la gente è fatta: le promesse mantenute, il centro commerciale costruito”, alzò lo sguardo verso il novellino.“Ora serve solo un oratore in grado di portare avanti quest’idea e chi meglio di te, la mente dell’idea”. Il novellino spalancò gli occhi dallo stupore: questa era la sua possibilità, ma allo stesso tempo la sua condanna. Uno sbaglio ed era fuori. Rispose al sorriso del fumatore ostentando ciò che rimaneva del suo coraggio e annuì. “Bene, abbiamo trovato la soluzione. Sei una miniera d’oro ragazzo, o meglio, di cemento!”. Ma il novellino ormai era perso nei suoi pensieri e quasi non sentì la pacca sulla spalla del fumatore e le risate d’approvazione degli altri due. Ormai era entrato nel clan e ci era dentro fino al collo. Doveva pianificare le sue mosse, pensare a che cosa dire nel discorso più importante della sua vita, più importante ancora di quello che aveva dovuto fare al funerale di suo padre, in quel piccolo, storico cimitero. Accettò la sigaretta che gli veniva offerta dal fumatore e pensò “Ci finirò anch’io sotto al tuo cemento, padre!”.

 

ISABELLA ROSSI (Liceo classico A. Manzoni, Lecco)

Secondo classificato


“Scherzi, vero?”, disse il secondo che aveva parlato. Era il più giovane di tutti a quel tavolo, entrato da poco nell’oscuro giro dell’illegalità. L’ultimo che aveva parlato, un uomo di mezza età con lunghi capelli corvini che gli scendevano lisci sulle spalle larghe, lo guardò per un attimo senza troppa attenzione. Sapeva che il ragazzino non ci sarebbe stato, codardo com’era, e, infatti, tornò ai volti dell’uomo con la sigaretta e del compagno con il cappello, piantando lo sguardo prima negli occhi dell’uno poi in quelli dell’altro. “E dimmi, se anche decidessimo di farlo, come pensi di far passare inosservata la sparizione di un cimitero?”. “Le persone stanno dietro a malapena ai ritmi della loro vita, non hanno tempo per pensare ai morti: ormai anche i fiori finti stanno appassendo sulle tombe”. Si fermò un attimo, un ghigno si era disegnato sul volto del fumatore, dietro le grigie volute che salivano verso il soffitto e che contro la luce della lampadina disegnavano arabeschi evanescenti. “Beh, non hai tutti i torti, in effetti” e continuò a sorridere mentre aspirava ciò che rimaneva dell’ennesima sigaretta. “È comunque troppo rischioso”, rispose serio quello che aveva taciuto fino a quel momento, togliendosi per un attimo il cappello e passandosi nervosamente la mano sulla testa, avanti e indietro, nei corti capelli rossicci. “Da quando ti fai questi problemi? Hai paura dei fantasmi forse? Non hai mai avuto alcun problema a fregare i vivi, con i morti è un gioco da ragazzi…Insomma sono morti, stecchiti, polvere sotto i nostri piedi, ombre del nostro passato che non fanno altro che legarci ai ricordi e farci soffrire la loro mancanza”, disse di rimando il fumatore, appoggiando la sigaretta nel portacenere, ormai pieno di mozziconi. “Ci sono persone che hai amato là sotto!”, sbottò il più giovane. “No, i miei sono sepolti nel paese in cui sono nato… non che questo mi fermerebbe dal costruirci sopra…”, rispose pacato, con l’ennesimo mezzo sorriso in volto. Non perdeva mai la calma, nemmeno a un soffio dalla sconfitta. Questo era un caso come tanti altri, un investimento che prometteva poche spese e molto guadagno; certo, era rischioso, ma se avesse voluto una vita tranquilla avrebbe valutato di fare il panettiere o che so io, non avrebbe certo scelto un’esistenza in fuga com’era la sua. “Se tutto andasse per il verso giusto potremmo farci una bella somma. Io dico che ne vale la pena…”, rispose l’altro, continuando con la sua proposta. “Penso si sia capito ormai: io ci sto”, concordò il fumatore. Il terzo si rimise il cappello, pensieroso. Dopo qualche attimo di silenzio, era arrivato a una conclusione: sì, anche lui accettava. “Da bambino ti fanno un sacco di promesse”, disse, “dicono che avrai il futuro che vuoi, che realizzerai qualsiasi tua aspirazione. Poi cresci e a ogni anno che passa ti lasci dietro sul tuo cammino i relitti di quegli stessi sogni in cui avevi riposto le tue speranze. Non è la volontà a farla da padrona in questo mondo, sono i soldi. Se, per evitare che i miei figli si debbano costruire una vita sugli scheletri dei loro desideri, devo costruire un edificio su un cimitero, beh, direi che lo scambio è piuttosto equo”. Sorrise malinconico, poi tutti e tre volsero lo sguardo al ragazzo, mancava soltanto la sua risposta. “Le persone non taceranno…”, sussurrò. “Tranquillo, non c’è nulla che non si possa sistemare con un po’di denaro. Quello compra tutto, anche il silenzio delle persone”. Il giovane abbassò lo sguardo e sospirò. Oramai ci sono dentro, si disse. E su quel pensiero la sua mano si sollevò, anche la sua risposta era “Sì”.

 

BENEDETTA BROGGI (Istituto Leopardi, Lecco)

Terzo classificato


Tutti scoppiarono in una risatina nervosa. L’aria era pregna di febbrile attesa, quasi palpabile nel silenzio che era tornato a regnare. Non c’era uomo o animale, e qui si può citare il cane pigro e grassotto davanti alla stufa con il nome di Ciccio, che volesse lasciare il calduccio della stanza e l’odore avvolgente del tabacco. Nonostante ciò, dopo un’animata discussione, i quattro compari uscirono nell’aria frizzantina, mischiata alla luce pallida e timida dell’alba. Arrivati al cancelletto, i quattro entrarono nel luogo prescelto, il terreno umido e sabbioso, con sassolini bianchi che scricchiolavano gemendo sotto ai piedi e con alghe fastidiose e puzzolenti che ostruivano il cammino. Il cimitero, tetro e abbandonato dagli uomini e da Dio, brulicava di una nebbiolina leggera, strisciante tra le pietre incagliate nella terra, e le lambiva occultandole con il suo lieve abbraccio. Tra essa apparivano a tratti sagome pallide e viscide, pezzi di corpi non ancora decomposti, gettati sul terreno. Disgustati, i compari cercavano di evitare i resti organici, ognuno immerso nei propri rumorosi pensieri: “Che razza di idea! Sono l’unico con un minimo di buon senso che però non sa farsi ascoltare, quegli illusi idioti…”; “Senza speranza? Eppure tentar non nuoce, forse si può ancora costruire qualcosa di nuovo, che bella soddisfazione sarebbe… beh, tanto più in basso di così non si può”; “Il tempo stringe ormai, ma riusciremo a ricavare qualcosa da un bizzarro cimitero come questo?”; “L’illuminazione che ho avuto potrebbe spalancarci le porte del successo e regalarci una carriera coi fiocchi. Debiti saldati! Promesse mantenute! Nessuna concorrenza! Che idea eccezionale!”. Costruire qualcosa di nuovo, di originale, risorto dalle rovine di un insolito luogo: era un’ambizione coraggiosa o una folle illusione? In ogni caso, un’intuizione inusuale, sicuramente. Seduti sulle pietre e guardandosi attorno, i quattro individui si misero ad abbozzare una specie di progetto, tra un’imprecazione e l’altra, mentre lo sciabordio costante delle onde del mare faceva da sottofondo alla lugubre atmosfera. Le pietre sarebbero stati gradini, i tronchi pilastri, le foglie tetto. Sarebbe stato pericoloso? Avrebbero dovuto eliminare i corpi, bonificare il terreno, portare civiltà nel luogo desolato. L’obiettivo era conferire al luogo una bellezza selvaggia e naturale. Tutto doveva risultare suggestivo, e la vista, le sensazioni, le esperienze che si dovevano far vivere dovevano anche essere incisive, indimenticabili, uniche nel loro genere. L’atmosfera doveva far apparire tutto un sogno surreale, eccitante. Una sfida, certo, ma niente ormai poteva fermare il desiderio e l’aspirazione a cose grandi dei quattro uomini, di cui ora le menti fumavano, generando idee che sembravano quasi vive, tanto erano amate dai loro creatori. Aleggiava ora l’intrigante mistero di un destino ancora da scoprire e che forse qualcuno si era preso a cuore. Questo destino che prima sembrava essere segnato dalla banalità e dalla prevedibilità di una vita insensata, stava ora prendendo una via inaspettata, che stava ridando dignità a degli uomini che finalmente avevano avuto il coraggio di non vivere inutilmente. Lavorarono settimane, mesi, anni, con alti e bassi nel percorso, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo di costruire qualcosa di nuovo. Con l’aiuto della popolazione, contagiata ormai dall’entusiasmo dei quattro soci, racimolarono il materiale necessario e più il progetto e le costruzioni prendevano forma e senso, più nuovi sponsor e collaboratori si facevano avanti per far parte dell’attività. Alla fine, dopo aver bonificato il lido abbandonato e averlo liberato dai resti in decomposizione delle meduse morte, un Resort era nato da quello che tutti chiamavano il Cimitero delle Meduse. Un intero villaggio turistico di capanne stile caraibico costruito su palafitte erette a loro volta sull’acqua cristallina della Sicilia, rinnovata nella crisi da una nuova iniziativa di uomini, si sarebbe detto, illusi e sognatori. È così che rinasce la bellezza: se si cerca si trova anche nelle rovine, inaspettatamente grande.

I FINALISTI:

GIACOMO AMATI (IIS Greppi, Nonticello Brianza)

SIMONE FRASSONI (Liceo classico A. Manzoni, Lecco)

GIORGIA ROSSI (IIS Bertacchi, Lecco)

 

I PUBBLICATI SULL’ANTOLOGIA:

SABRINA PEREGO (IIS Greppi, Monticello Brianza)

 

MARTINA TOCCHETTI (IIS Greppi, Monticello Brianza)

CHIARA GENNARO (IIS Greppi, Monticello Brianza)

GIACOMO NEGRI (Istituto Leopardi, Lecco)

GAIA PANZERI (Istituto Leopardi, Lecco)

IRENE RIVA (Istituto Leopardi, Lecco)

ERICA PANTUSA (Istituto Leopardi, Lecco)

FEDERICA SANELLI (Liceo artistico Medardo Rosso, Lecco)

SEFORA MERONI (Liceo linguistico Parini, Barzanò)

 

È possibile ordinare l’antologia richiedendola al nostro indirizzo e-mail segreteria@lettelariamente.it. Il costo è di dieci Euro.