INTERVISTA (da L’Eco di Bergamo del 1° agosto 2009)
Andrea Vitali
“Apprezzo le parole locali, ma escludono chi non le conosce”

“Il dialetto deve essere una spezia, dare quel tocco in più senza

rovinare il gusto dell’intero piatto”. Ne è convinto Andrea Vitali,

il medico scrittore cha da Il procuratore a Almeno il cappello ha raccontato con ironia abitudini e stranezze della gentedi Bellano. Così non lo convince del tutto la scelta di Giuseppe Tornatore di girare il suo ultimo film, Baarìa, in strettissimo dialetto siciliano.

“Io apprezzo molto le parlate locali –spiega-. Sono lingue che non hanno mai avuto vocabolari, se non in tempi receti, perché venivano usate al puro scopodi comunicare, senza essere scritte. Ma il dialetto tende ad escludere chi non lo conosce, quindi deve essere usato con parsimonia”

In tempi in cui la Lega lancia l’idea di introdurre un test per i professori nel dialetto della regione in cui intendono insegnare (ovvero i prof meridionali alla prova di padano), la scelta di Tornatore suona come una provocazione.

“Di sicuro lo è la proposta della lega:una boutade per agitare le acque, perché non posso pensare che facciano sul serio. Mi sembra abbastanza sciocco usare il dialetto come fosse un’arma.”

Al cinema però l’uso del dialetto ha precedenti illustri, per esempio nell’Albero
degli zoccoli.

“Quella di Olmi fu un’operazione filologicamente corretta, perché la gente delle campagne bergamasche davvero parlava solo il dialetto. Penso possa essere così anche nel

film di Tornatore: l’uso del dialetto diventa un metodo operativo, un modo per calare la vicenda in una precisa realtà storica. Usare il dialetto per raccontare l’Italia del 2009, invece, sarebbe fuori luogo.”

Anche in letteratura c’è chi del dialetto ha fatto una bandiera, per esempio Andrea Camilleri.

“In realtà quella di Camilleri è una lingua inventata, un misto di italiano e di espressioni dialettali. La sua è una scelta precisa: ha creato la sua lingua e la usa sempre, per cui i suoi lettori hanno imparato a capirla e ad apprezzarla. Proprio Camilleri mi ha raccontato di un suo amico siciliano che diceva: “il dialetto diventa lingua quando dietro ha un esercito, altrimenti rimane tale”. E infatti nei suoi libri lei centellina il dialetto, pur essendo molto legato alla sua terra.

“Uso qua e là qualche parolina significativa, che rende l’idea meglio dell’italiano. Per esempio lifròc, che vuol dire lazzarone, ma nel nostro dialetto è un lazzarone simpatico,

che si può perdonare. Oppure dico scossàl invece di grembiule, perché mi piace il suono che ha. Vede, io sono nato sul la go di Como, ma il bergamasco non lo capirei. Di più: il

dialetto di Bellano è perfin diverso da quello della vicina Como. I libri sono fatti per comunicare, invece l’uso del dialetto alza barriere”.

Lucia Ferrajoli