Racconto di Giorgio Ilardi
Racconto di Giorgio Ilardi, primo classificato al XII Concorso di scrittura su Incipit di Giuseppe Battarino nella categoria “Scuole secondarie di secondo grado”
Tic tac, tic tac… il tempo trascorre velocemente e velocemente la mia, la tua, la sua, la vostra, la loro, ma, soprattutto, la NOSTRA madre Terra sta morendo. I mutamenti climatici, il riscaldamento globale, la siccità, l’innalzamento del livello del mare sono alcune tra le dirette conseguenze dei consumi energetici attuali, delle emissioni di CO2 dovute all’utilizzo di combustibili fossili, dell’inquinamento a causa della produzione eccessiva di rifiuti, della deforestazione di ampie zone, della rottura degli equilibri all’interno dei vari ecosistemi. Proprio in questi giorni si alza fortissimo il grido d’allarme degli scienziati sull’estinzione dell’orso bianco a causa dello scioglimento dei ghiacciai, naturale habitat di quest’animale, oppure per l’infestazione anomala delle cimici asiatiche delle colture in Italia con la conseguenza di interi raccolti danneggiati, per la presenza di pesci tropicali nel Mediterraneo, per la scomparsa della flora e della fauna in altri ambienti… per la nostra povera madre Terra uno strazio angosciante, senza fine. C’è bisogno di una presa di coscienza della situazione di crisi ambientale esistente, di un’inversione di rotta a livello politico, collettivo e individuale. Lo “stato di emergenza climatica” prevede l’adozione di misure per ridurre le emissioni di carbonio a zero in un determinato lasso di tempo, cosa che è stata fatta propria da diverse istituzioni, città, università e proposta da vari attivisti e gruppi ambientalisti. Ma è necessario che tutti remiamo nella stessa direzione, è necessario stimolare in noi l’amore e il rispetto per la nostra “casa”. Mio nonno, relativamente all’educazione, dice: «Una noce sola nel sacco non suona», volendo sottolineare che l’educazione dei figli deve avvenire in concerto, insieme in famiglia e con le altre agenzie educative presenti sul territorio. Lo stesso concetto si può adottare per l’emergenza climatica, bisogna che i vari Paesi lavorino in comune accordo a livello politico per conseguire lo stesso obiettivo: la salute del nostro pianeta. E nello stesso tempo bisogna risvegliare quel senso di cittadinanza attiva e responsabile in ogni essere umano, e per farlo c’è una parola chiave: EDUCAZIONE. Una buona educazione si traduce così nella formazione di una coscienza civica individuale. Educare non è, come sostiene qualcuno, insegnare il rispetto delle regole, non solo: educare è imparare ad amare, a rispettare l’umanità. Proprio per questo, l’umanità dovrebbe considerarsi una grande famiglia che deve aver cura della propria casa e, soprattutto, noi giovani siamo chiamati a preservare il nostro pianeta, quindi il nostro futuro e quello dei nostri figli. L’imperativo è, quindi, “NOSTRO!” E’ allora possibile un modo diverso di abitare la Terra? Io credo che bisogna fare nostro il monito di papa Francesco: si deve operare “una conversione ecologica”, cambiando il nostro stile di vita. Non sprecare il cibo, l’acqua, l’elettricità (curando di spegnere le luci), rispettare gli spazi comuni non inquinando attraverso la dismissione di rifiuti in luoghi non idonei, limitare l’uso della plastica e dei mezzi di trasporto personali e prediligere quelli pubblici, piantare alberi, anche in un piccolo spazio, che può essere il nostro giardino. La politica, contemporaneamente, dovrebbe usare gli strumenti della finanza e della tecnologia, a cui è sottomessa, per promuovere l’uso di fonti di energia alternative e rinnovabili. Ma dobbiamo agire presto, per rendere sostenibile e gioioso il nostro stare sulla Terra, la nostra dimora. Intanto… Tic tac, tic tac… il tempo passa!
Racconto di Valentina Inzaghi
Racconto di Valentina Inzaghi, prima classificata al XII Concorso di scrittura su Incipit di Giuseppe Battarino nella categoria “Scuole secondarie di primo grado”:
Le zampe bruciano, mi fa male il naso, non riesco a respirare.
Salta, respira, salta, respira. Fumo, fumo dappertutto.
Niente più alberi, niente più vita. Salta, respira, salta, respira.
Sei vivo. Fuoco, calore, dolore. Scappa. Fuoco, morte, dolore. Il fuoco era partito da un fulmine, il caldo mi torturava peggio del solito, sono un semplice canguro che lotta per la vita, non credo di essermelo meritato. Salta, respira, salta, respira. I cadaveri carbonizzati di altri canguri e koala compaiono dappertutto disseminati al suolo come canditi in un panettone. Il dolore è inarrestabile. Fuoco, fumo, dolore. Fiamme alte fino al cielo devastano la mia casa. La nostra casa. L’Australia. Il caldo resta insopportabile. La sete prosciuga la mia voglia di combattere. Le zampe bruciano. Salta, respira, salta, respira. La mia vita era una bella vita. Il caldo non è mai stato così insopportabile. L’acqua così introvabile. Gli incendi così grandi. È da un po’ che è tutto molto più difficile. Stavolta l’incendio mi è vicino. Io troppo lento. Salta, respira, salta, respira. Io non voglio morire. Non voglio essere uno di quei cadaveri. Non voglio essere carbonizzato. No, no, mai. Ne ho visti io di incendi. Ne ho visti tanti nella mia vita, dopotutto ho sette anni, sono a metà della mia vita. Sono scampato a molti pericoli. Umani, fucili, coccodrilli, siccità, incendi. Un sacco di incendi, soprattutto ultimamente, c’è un caldo insostenibile. Salta, respira, salta, respira. La paura mi tiene in vita. Fuoco dappertutto. L’adrenalina mi sale in corpo. Vivere, vivere, vivere. Radura. Fermo. Respira. Il fuoco è dietro di me. Ora sono al sicuro. Basta alberi. Basta fuoco. Rumore. Forte. Paura. Un elicottero. Non posso scappare. Cibo. Il cibo cade dall’elicottero come manna dal cielo. Però non è manna, sono carote e patate. Mio. Cibo. Mangia. Dolore. Lecca la ferita. Mangia. Cibo. Mio. Sete. Sono troppo debole per cercare dell’acqua. Dopotutto, anche solo l’ombra è introvabile. Dove non arriva il sole arriva la luce infuocata delle fiamme. Basta. Mangiare è il mio unico pensiero. Sono così stanco. Non è possibile avere così tanto caldo. Maledette fiamme. Maledetto caldo. Non so se è colpa di qualcuno. Io penso che semplicemente stia diventando tutto più difficile. Maledetto fuoco. Maledetti umani. Come se non bastassero le fiamme e i coccodrilli a rendere tutto più difficile. Forse è colpa loro. Ho paura di loro. Portano la morte. Maledetta morte. Io non voglio morire. La sete mi graffia la gola come tante piccole lame. Devo riposare. Umani. Arrivano. Portano la morte. Mi si avvicinano con una rete. Maledetti umani. Cerco di scappare. Dolore. Mordere. Mordi! Mordi! Non ci riesco. Mi hanno preso. Chiudo gli occhi. Non voglio morire. Mi ritrovo in un posto bianco. Le mie zampe sono fasciate. È pieno di umani. Maledetti umani. Uno mi sta mettendo qualcosa sul naso. No! Mordi! La bocca. Mi hanno chiuso la bocca. Maledetti umani. Brucia. Quella cosa brucia. Gli umani mi guardano. Paura. Non voglio morire. Uno si avvicina mi toglie la fascia che mi chiude la bocca. Mi porge dell’acqua. Acqua. Sete. Bevi, bevi. Mi rimettono la fascia. No! No, non la voglio! Mi prendono. Scalcia. Niente. Mi portano in una prateria confinata da un recinto dove ci sono altri canguri. Non mi piace. Mi lasciano, mi tolgono la fascia ed escono dal recinto. Mi muovo. Sembra sicuro, mi metto all’ombra e dormo. Mi piace questo posto. C’è acqua. C’è cibo. Posso dormire. Preferirei poter andare dove voglio, essere libero, non vedere gli umani. Ma meglio delle fiamme.
Il caldo è insopportabile. Gli umani parlano di cambiamento climatico. Di surriscaldamento globale. Di ettari bruciati. Di morte. Bah…cose da umani. Le zampe mi fanno ancora male ma sto bene. Sono vivo.